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Recensione: “Il castello bianco” di Orhan Pamuk

Una metafora sul rapporto tra Oriente e Occidente

Titolo: Il castello bianco

Autore: Orhan Pamuk
Anno di pubblicazione: 1985
Lingua originale: turco
Numero di pagine: 172

Voto: ☆☆☆☆


TramaNel Seicento un italiano viene catturato dai Turchi e venduto come schiavo ad un astronomo musulmano, sorprendentemente identico a lui. I due lavorano insieme a diversi progetti tecnico-scientifici per il Padiscià, guadagnandone entrambi la stima. Progettano anche un macchinario bellico per la guerra in Polonia, che però non funziona. A seguito di questo evento solo uno dei due uomini tornerà in Turchia.


Recensione: Ho letto “Il castello bianco” perché quest’anno, frequentando un corso di laurea magistrale in inglese, ho conosciuto una ragazza turca, di cui sono diventata amica. Mi ha molto incuriosito il suo paese e la sua cultura perché per certi versi assimilo molto i turchi ai greci (ma loro odiano questa cosa) e quindi agli europei, per altri versi, in primis per la religione musulmana e l’influenza culturale che ne consegue.
Per questa mia curiosità ho deciso di cercare un libro turco da leggere e ho scoperto Orhan Pamuk, lo scrittore turco più conosciuto al mondo, vincitore anche del Nobel per la Letteratura nel 2006.

Parlando adesso del libro, il romanzo inizia in medias res con la voce narrante, un italiano, che viene catturato dai Turchi mentre si trova su una nave a causa della vigliaccheria del proprio comandante. Viene quindi portato a Istanbul e imprigionato come schiavo ma, spacciandosi per medico, riesce a evitare i compiti peggiori. Un giorno viene invitato alla Corte del Padiscià, che è malato. Qui il protagonista si accorge della straordinaria somiglianza che lui, uomo italiano, ha con un astronomo turco che si fa chiamare Maestro.

Attorno questa somiglianza ruota tutto il libro, infatti l’italiano viene poi venduto all’astronomo e iniziano a lavorare a progetti scientifici insieme, di cui poi si prendeva il merito il turco. Ma al di là di questo, ciò che è estremamente interessante in questo romanzo è il rapporto tra i due uomini, metafora del rapporto tra Oriente e Occidente: il turco è attratto dalle conoscenze dell’italiano e cerca di farsi insegnare da lui tutto lo scibile, tuttavia è anche molto orgoglioso del suo sapere e della sua cultura.

L’elemento curioso è che, pur vivendo insieme, inizialmente il turco non si rende conto della somiglianza con il suo schiavo. Tuttavia quando se ne accorgerà, inizierà ad essere ossessionato da alcune domande esistenziali “cosa rende l’essere umano unico?”, “Qual è l’elemento di superiorità degli italiani rispetto ai turchi?”.
Su quest’ultima domanda il Maestro si accanisce, prima contro l’italiano e poi con un assurda e ossessa ricerca condotta tra gli uomini più miserabili di fede musulmana e cristiana, che alla fine è volta solo a confermare la sua teoria: i musulmani sono superiori ai cristiani. Sarà così?

Il tema del doppio e dell’identità così come il rapporto tra Oriente e Occidente sono i due perni attorno a cui ruota tutto il romanzo, ambientato in una Turchia descritta con sfumature che mi ricordano quelle di un quadro impressionista.

Per quanto riguarda le descrizioni, una in particolare mi ha colpito per la straordinaria affinità col nostro periodo. Anche a Istanbul nel Seicento scoppia un’epidemia di peste e il Maestro e il protagonista sono chiamati a fermarla. Tra le misure che suggeriscono al Sultano ci sono quelle di evitare gli assembramenti, motivo per cui vengono chiusi i mercati e evitare gli spostamenti. Infatti vengono posti i Giannizzeri a presidio degli ingressi delle città. Vi ricorda qualcosa?

In conclusione posso dire che è stata sicuramente una piacevole lettura, anche se la scrittura di Pamuk è elaborata e non rinuncia a metafore. Alla fine, quello che mi porto con me da questa lettura è la famosa frase del film Mediterraneo di Salvatores: “Italiani, Turchi: una faccia, una razza”.

p.s. i dolcetti che vedete in foto vengono proprio dalla Turchia, sono un regalo della mia amica 🙂

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